Ne avrete sentito parlare. Qualche giorno fa Paolo Nori, esperto di letteratura russa, ha ricevuto una mail dall’università Bicocca in cui si chiedeva che il corso che avrebbe dovuto tenere su Dostoevskij venisse rimandato. L’argomento del corso è stato ritenuto inopportuno alla luce dell’attuale situazione in Ucraina e fonte possibile di polemiche. La decisione è apparsa subito assurda e ridicola: leggere Dostoevskij (1821-1881), uno dei più grandi scrittori di sempre che ha lavorato su tutte le ombre dell’animo umano, pagando di persona per questo, significa supportare l’intervento russo in Ucraina quanto bere un the nel pomeriggio equivale a sostenere la bontà del colonialismo inglese del secolo scorso.
Questa scelta, immediatamente revocata dopo la reazione dell’opinione pubblica, non è un evento isolato ma fa parte di una serie più ampia di provvedimenti presi in questi giorni, scelte che fanno presto notizia. Infatti già questa settimana Beppe Sala, sindaco di Milano, ha allontanato dalla Scala di Milano il direttore d’orchestra russo Valery Gergiev a causa delle sue posizioni filo-putiniane. Il sindaco pretendeva una sua presa di posizione pubblica contro la guerra in corso in Ucraina.
La necessità di conoscere ogni singola opinione di coloro che ci intrattengono, senza alcuno scrupolo sul loro grado di competenza, dimostra che il pubblico equipara con troppa leggerezza il consumo di un media con una presa di posizione di tipo politico e sociale. Diverso il caso del Direttore del Teatro Bolshoj di Mosca, Tugan Sokhiev, che ha deciso di dimettersi dalla sua carica e anche dal ruolo di direttore musicale dell’Orchestre National du Capitole di Tolosa, in Francia, dichiarandosi contrario alla guerra in ucraina e incapace di “scegliere” fra i suoi musicisti e musiciste russi e francesi.
Sui social i commenti sotto ai video di adolescenti sono pieni di domande sulla guerra e le live degli streamer su Twitch sono affollate di utenti che pretendono da loro una presa di posizione. Ogni personaggio pubblico, per quanto piccolo sia il suo seguito, viene chiamato a schierarsi e identificarsi su una posizione: o di qua o di là. L’affermazione della propria opinione diventa un imperativo categorico e parte della propria identità, ma così la possibilità di discussione vera si chiude e la persona viene a coincidere con la sua dichiarazione. Ti consiglio di leggere un articolo bello di Nadia Urbinati su “Il domani” del 5 marzo scorso che spiega benissimo come questa tendenza finisca per giustificare la guerra, che è la peste della Storia .
Queste prese di posizione creano una cultura in cui l’affermazione della propria opinione prende il posto del dialogo. Una discussione non è produttiva, né di fatto possibile, quando l’obiettivo finale della stessa diventa quello di identificare l’interlocutore in una categoria (pro Putin o contro Putin, vax o no-vax…). Questo atteggiamento è grave soprattutto in quegli ambienti che, per loro natura, dovrebbero arricchirsi del dialogo, come l’università, nel caso della Bicocca e il teatro (e in generale il mondo dell’arte) nel caso della Scala di Milano: dovremmo incoraggiare il dialogo e la discussione.
In una situazione come quella che stiamo vivendo è necessario che il mondo della cultura supporti al di sopra di tutto il dialogo come modo di risoluzione del conflitto, che è poi quello che chiedono i pacifisti ucraini e quelli russi, e quelli e quelle di tutto il mondo.
Studentessa di Lettere Moderne, ha conosciuto 8pagine attraverso l’Enciclopedia delle donne, a cui collabora da settembre 2021. Ama la lettura, le passeggiate in montagna e soprattutto la sua gatta Freud.
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