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Non stiamo zitte, non abbiamo paura.

Non stiamo zitte, non abbiamo paura.

“Siamo qui. Siamo ovunque. Siamo in rivolta. Continueremo questa lotta fino a che la decisione non verrà annullata”. Da più di una settimana le donne turche stanno protestando contro la decisione della Turchia di uscire dalla Convezione del consiglio d’Europa contro la violenza sulle donne.

Si tratta di un trattato internazionale il cui scopo è quello di fornire leggi che possano proteggere le donne da qualsiasi forma di violenza, e per prevenirla, anche quella domestica.  L’accordo era stato firmato nel 2011 proprio in Turchia a Istanbul, da lì il nome della convenzione, dalla stessa persona, il Presidente turco Erdoğan, che una settimana fa ha deciso di abbandonarlo. Secondo una dichiarazione rilasciata dal suo ufficio la convenzione favorirebbe i rapporti omosessuali e rappresenterebbe una minaccia per la famiglia. Il ritiro dal trattato quindi rappresenta per la Turchia un doppio  passo indietro:  sia per quanto riguarda i diritti delle donne che quelli della comunità lgbtq. 

In questi anni molte cose sono cambiate in Turchia: il Presidente Erdoğan, al comando del paese ormai da quasi 20 anni, è diventato sempre più autoritario e per continuare a  mantenere il suo potere si sta rivolgendo verso la popolazione più conservatrice e religiosa.

Secondo le autorità turche, le leggi nazionali sono sufficienti a garantire la protezione delle donne. Ma a smentire questa argomentazione ci sono dei dati agghiaccianti: nei primi tre mesi del 2021  sono state uccise 78 donne. Nell’anno precedente quasi 300. Praticamente ogni giorno in Turchia una donna viene uccisa o subisce violenza.  In Turchia inoltre è ancora molto diffuso il fenomeno delle spose bambine.

Le donne turche sono preoccupate, indignate e molto determinate. A meno di 24 ore dalla decisione sono scese in piazza a migliaia, nonostante i divieti e la repressione della polizia, e ogni giorno hanno svolto una protesta in più città e in diversi quartieri di una stessa città. Una settimana dopo, lo scorso sabato, hanno protestato ancora in massa.

La Turchia ha tre mesi di tempo per recedere dalla decisione, e non ci sarà giorno in questi tre mesi in cui le donne non faranno sentire la loro voce.


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