Personalmente amo molto il 25 aprile. Anzi, la considero la festa più bella dell’anno. Anche se le celebrazioni si riempiono spesso di una retorica particolarmente incomprensibile per le nuove generazioni, è una giornata che mi fa pensare ai giovani. Perché erano dei ragazzi e ragazze molto giovani quelli che decisero di rischiare la loro vita piuttosto che rinunciare alla loro libertà, e così facendo contribuirono (“quanto” contribuirono se ne discute molto, ma non ci importa) alla libertà di tutti. Mi piace pensare, o immaginare dei volti quasi acerbi per quelle fughe in montagna, quelle corse in bicicletta delle staffette, quelle riunioni segrete.
In quel frangente era chiaro che la libertà coincideva con la fuoriuscita dal nazifascismo.
Cosa significa oggi lottare per la libertà? Libertà in generale è un concetto complesso, una condizione da maneggiare con cautela, e questo mai come ora, in una condizione di pandemia. Che significato dare a questa giornata che si avvicina e che per il secondo anno consecutivo non potremo festeggiare nelle piazze, magari assieme ai pochi partigiani e partigiane che sono rimasti fra di noi, a ricordarci che nulla è scontato?
Non ho una risposta, se non che come quei ragazzi e quelle ragazze sconfissero per prima cosa la paura, di morire, di essere catturati, di soffrire, vorrei che questo 25 aprile ci liberasse dalle paure di adesso: del diverso, della malattia, dell’incertezza, e ci facesse guardare al futuro a testa alta, con quel coraggio, responsabilità e generosità che altri prima di noi ci hanno donato.
Biologa, docente e giornalista collaboratrice del Manifesto, Radio Popolare e altre testate indipendenti. Si occupa di conflitti ambientali e solidarietà internazionale.
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